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 Recensioni

 

 

 

Il pranzo di Babette
Le cronache di Narnia
 
 
 

 

 

 

 

IL PRANZO DI BABETTE

Un film di evangelici, fatto per gli evangelici…

"… Nel 1987 il film danese Il pranzo di Babette (poi preferito per l’Oscar a Arrivederci ragazzi di Malle e La famiglia di Scola) segna una tappa deliziosa, e singolare: deliziosa per la misura e la grazia che presiedono all’imbandigione, singolare perché pone al centro dell’interesse il delicato rapporto tra il nutrimento del corpo e quello dello spirito, tra la macerazione mistica e il piacere dei sensi, si potrebbe anche dire tra la dieta nordica e quella mediterranea.

La signorina francese Babette è da tanti anni al servizio di due anziane e piissime sorelle danesi, figlie zitelle ed eredi spirituali del defunto decano di una piccola quanto austera comunità luterana, in un povero villaggio sulla costa occidentale dello Jutland. Martina e Filippa - così chiamate rispettivamente in onore di Lutero e del suo seguace Filippo Melantone - mantengono vivo il ricordo del santo genitore con le riunioni dei pochi fedeli rimasti, con gli inni religiosi e le opere di bene che sanno ricavare dalle loro modeste risorse. Sono invecchiate serenamente e senza rimpianti.

Da giovani (le vediamo in flash-back) erano belle, Filippa già cantava divinamente, e i pretendenti non erano mancati. Ma a chi si faceva avanti per chiederne la mano, il padre soleva opporre, serafico: "Le mie figlie sono la mia mano destra e la mia mano sinistra, come potrei privarmene?". Così l’ufficiale degli ussari innamorato di Martina e il tenore francese innamorato di Filippa, per nulla incoraggiati dalle fanciulle rispettose della volontà paterna, avevano desistito, con la morte nel cuore e senza poterle dimenticare.

Ma dal 1871 è entrata nella loro vita Babette, che la caduta della Comune di Parigi ha privato di famiglia e averi, sbattendola su quell’aspra scogliera. Un po’ per il loro buon cuore, un po’ per la lettera di presentazione del vecchio amico tenore, ma soprattutto perché Babette si offre come cuoca e domestica senza compenso, le due sorelle la accolgono in casa e non dovranno pentirsene. Laboriosa, discreta, silenziosa, Babette impara subito a cucinare lo stoccafisso, sa tirare sul prezzo al mercato, si fa benvolere da tutti e permette alle padrone di dedicare più tempo alla preghiera.

Un vero dono piovuto dal cielo.

Siamo verso la fine del secolo e a metà della vicenda. Karen Blixen, che col cinema ha sempre goduto di una postuma fortuna (dalla Storia immortale di Orson Welles ai sette Oscar piovuti su La mia Africa), aveva inserito la sua omonima novella in una raccolta intitolata ai ‘capricci del destino’. E il destino è benigno con Babette, facendole vincere diecimila franchi a una lotteria parigina. Somma che le permette di offrire un vero pranzo ‘alla francese’, destinato ai dieci membri della congregazione più due ospiti illustri di città, per festeggiare nel modo più degno i cent’anni dalla nascita del pastore e nel modo più riconoscente l’ospitalità ricevuta dalle figlie.

"Babette fece un passo avanti. V’era qualcosa di formidabile in quel gesto. Era venuta avanti così, nel 1871, per piantare una bandiera rossa su una barricata", scriveva l’autrice. Gabriel Axel, il sessantanovenne sceneggiatore e regista del film, rinuncia a quel cenno politico ma non a quel formidabile ‘passo avanti’, quando la cuoca scongiura le padrone di lasciarle allestire il pranzo (per il quale si procurerà tutti gli ingredienti facendoli venire espressamente da Parigi) e quando si mette all’opera in cucina.

Nella minuscola stanza, tra pentole e fornelli, tra pesce, cacciagione, vino e dolciumi, Babette si muove come in un ristorante, da grande chef che non perde un colpo, non sbaglia una cottura, non si smarrisce davanti alla quantità e qualità delle portate che confeziona. Mentre ad ogni piatto, bevanda o dessert spedisce regolarmente in sala, con le raccomandazioni del caso, un ragazzotto più premuroso di un cameriere, e mentre fa assaggiare quelle squisitezze allo sbalordito cocchiere del generale, l’incredibile cuoca trionfalmente esegue il suo lavoro artistico, concedendosi ogni tanto un sorso di vino per alleviare il calore e la fatica, come un pittore o uno scultore stremati dallo sforzo creativo nel loro atelier.

E che cosa succede, intanto, tra i commensali? L’inaudito simposio, accolto al principio come un’operazione demoniaca, penetra a poco a poco nelle loro platoniche anime, come un convito paradisiaco.

Il pranzo di Babette dovrebbe far immaginare, sia pure in una dimensione di una goccia in relazione all’immensità di un oceano, quello che potrebbe essere il "pranzo di nozze" con l’Agnello: un pranzo interminabile per commensali eterni. (n.d. gestore)

Nei colori alla Vermeer con le musiche del Don Giovanni di Mozart, al misticismo subentra una sorta di erotismo, alla rinuncia (che oltretutto non eliminava contrasti e rancori nella comunità, anzi li accresceva) si sostituisce, lentamente ma inesorabilmente, il perfetto appagamento. Tanto più che a incarnare, per così dire, la sorpresa e la meraviglia della tavolata, è presente un decoratissimo e raffinato generale (l’ufficialetto d’un tempo, ora impersonato dal bergmaniano Jarl Kulle) che ha conosciuto gli splendori del Café Anglais di Parigi e del suo leggendario chef; e messo dì fronte a un brodo di tartaruga e a un bicchiere di Amontillado, a un blinis Demidoff alle cailles (quaglie) en sarcophage, a un Veuve Cliquot 1860, a un Clos Voiugeot 1864, passando di stupore in stupore si convince che il pranzo servito non è per nulla indegno dello storico modello, senza beninteso sospettare che l’invisibile chef sia la stessa persona.

E mentre gli invitati del villaggio danzano in circolo attorno alla fontana nella notte stellata, Babette si rivela alle sorelle e le assicura che rimarrà con loro, avendo sperperato i diecimila franchi che, del resto, erano il prezzo giusto per un simile pranzo al Café Anglais.

CarI Theodor Dreyer, nume tutelare del cinema danese, era morto da vent’anni quando Gabriel Axel, dopo una lunga carriera rimasta sconosciuta in Italia, portò sullo schermo li pranzo di Babette. E’ emozionante ritrovarvi ben sette attori dreyeriani, particolarmente Birgitte Federspiel (Martina da vecchia), che in Ordet era la donna che ‘risorgeva’ dalla morte, e la coppia Lisbeth Movin e Preben Lendorff Rye che aveva recitato insieme nel lontanissimo Dies irae (1943). Lui lo si ricorda anche protagonista di Ordet nel ruolo dello scandaloso iohannes, che si crede Cristo.

Tra le vecchie glorie dreyeriane e bergmaniane (c’è pure Bibi Andersson, sempre bella, come dama svedese), Stéphane Audran, l’interprete di Chabrol (Una moglie infedele) e di Bunel (Il fascino discreto della borghesia), ha forse incontrato il personaggio più incantevole della sua carriera e ce lo ha restituito con una sobrietà e una verità psicologica, che Karen Blixen avrebbe approvato per prima."

Ugo Casiraghi

 

 

Il regista

Gabriel Axel. "Sembra quasi che questo settantacinquenne regista franco-danese abbia voluto presentarsi al pubblico internazionale con lo spirito che ha ispirato la citazione che Babette... fa alla fine del film: "consentitemi di dare il meglio di me". (Cineforum, n. 275, 1988).

Oscar

"Karen Blixen sembra portare fortuna al cinema: ma se la pioggia di Oscar a "La mia Africa" fu un’operazione oziosa a favore di un film accademico che comunque sarebbe stato un hit, questa volta la statuetta è benvenuta.., nella misura in cui servirà ad attirare un po’ di attenzione a una cinematografia nazionale (Von Trier, Clausen, Refn, Roos, August, Bang CarIsen, Arnfred, Malmros, Kraghjacobsen: bastano?) che - a vent’anni dalla morte di Dreyer -è ora di scoprire e di esplorare in profondità. (Giulio Fedeli, in Segnocinema, n. 34, 1988).

Reale/Irreale

"La vicenda del "Pranzo di Babette" è una vicenda al limite della realtà, non quindi irreale. Quando parlo di fantastico mi riferisco a tutt’altro che non alla messa in scena o alla storia, ma ad alcuni elementi, in principal modo alla sensazione del fantastico che scaturisce in alcuni personaggi, ai sentimenti improvvisi e indimenticabili che possono segnare una vita". (Cineforum, cit,).

Levità

"Il film comunque non ha nulla a che vedere con la severità dei sermoni protestanti. "Il pranzo di Babette" è un’opera di grazie e levità mozartiane (non a caso il "Don Giovanni" vi ha ampio spazio), di squisito gusto figurativo nella composizione delle inquadrature, soffusa di una sorvegliata aura ironica, si che il risultato globale è di sorprendente limpidezza". (Giulio Fedeli, Segnocinema, cit.).

Anima e corpo

E’ arrivato dalla Danimarca un bel film, dove la figura del pranzo - così come quella del ballo nel "Gattopardo" - si carica di infiniti significati: celebrazione della vittoria delle gioie corporali sulla mortificatoria spiritualità luterana; confronto allegorico fra la ‘douceur de vivre’ franco-mediterranea e il rigoroso senso del dovere nordico; simbolico accostamento tra i caldi colori del sud (la cucina, le vivande...) e lo slavato pastellismo scandinavo (la fredda luce della costa danese, lo scuro degli abiti...)". (Giulio Fedeli, Segnocinema, cit.).

Cibo e piacere

"Il culmine del film è costituito dalle sequenze del pranzo, in cui il ritmo dell’ordine delle portate, il progressivo, interiore e inconfessato abbandonarsi al piacere del cibo e del bere, nonché la delicatezza della messa in scena, fanno di questo film una piacevole sorpresa". (Cineforum, cit.).

"Se all’inizio i commensali sono timorosi perché i piaceri della tavola poco o punto si accordano con le loro rigide convinzioni - tant’è che si impongono di non proferir verbo a proposito del cibo che verrà loro servito - alla fine scoprono quanto anch’esso possa manifestare soavi virtù angeliche: gastronomia come itinerario del meraviglioso. E le parole del pastore...acquistano nuovi e più ampi significati". (Giulio Fedeli, Segnocinema, cit.) -

Artisti (dialogo finale)

Martina: Babette, è stato davvero un ottimo pranzo, davvero ottimo. Hanno pensato tutti la stessa cosa.

Babette Una volta sono stata chef al Café Anglais.

Martina: Ci ricorderemo tutti di questa serata quando sarete tornata a Parigi.

Babette: Io mai tornerei a Parigi.

Martina: Non tornerete a Parigi?

Babette: Non c’è niente che mi ci faccia tornare. Li ho persi tutti...non ho più denaro.

Martina: Niente denaro?...E i 10000 franchi?

Babette: Li ho spesi.

Martina: 10000 franchi!

Babette: Una cena per dodici al Café Anglais costerebbe ioooo franchi.

Filippa: Ma cara Babette, non dovevate dar via tutti i vostri diecimila franchi per amor nostro.

Babette: No, non era solo per amor vostro.

Martina: Così ora sarete povera per il resto dei vostri giorni..

Babette: Un artista non è mai povero.

Fllippa: Era questo tipo di cena che faceste per gli ospiti del Café Anglais?

Babette: Potevo renderli felici quando davo il meglio di me. Papin lo sapeva.

FiIippa: Achille Papin?

Babette: Si. Lui disse:Per tutto il mondo risuona un lungo grido che esce dal cuore dell’artista:

consentitemi di dare il meglio di me’.

Filippa: Ma questa non è la fine

Babette, sono certa che questa non è la fine. In paradiso voi sarete la grande artista che Dio intendeva foste.

(Dal film)

Contesto

Babette era fuggita da Parigi per scampare ai massacri seguiti alla fine della Comune del 1871. Aveva perso tutti i suoi parenti e amici comunardi.

 

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LE CRONACHE DI NARNIA

LE CRONACHE DI NARNIA: un film da vedere e da pubblicitare.

Si parla della storia della salvezza in Cristo, messa tutta sotto forma di  "favola simbolica", dove il leone rappresenta IL LEONE DI GIUDA, i quattro "figli di Eva e di Adamo" rappresentano l'UMANITA', i fauni, gli angeli e i demoni... ecc.